Alcune mamme mi hanno chiesto un’opinione sull’autosvezzamento. Ecco il mio pensiero.
Con il termine divezzamento (più propriamente avvio dell’alimentazione complementare) si intende il passaggio da un’alimentazione esclusivamente lattea ad un’alimentazione semi-solida e poi solida, caratterizzata dalla progressiva introduzione dei cosiddetti “alimenti complementari”, cioè alimenti diversi dal latte.
Questo passaggio deve avvenire nel momento in cui l’alimentazione lattea, da sola, non è più sufficiente a soddisfare le richieste nutrizionali del lattante, soprattutto per quanto riguarda l’apporto di energia, proteine, ferro, zinco e vitamine.
Non esiste un momento preciso e uguale per tutti i lattanti in cui iniziare il divezzamento: il timing adatto per l’introduzione dei primi cibi diversi dal latte dipende da numerose variabili individuali, tra cui le specifiche esigenze nutrizionali, lo sviluppo neurofisiologico e anatomo-funzionale, la crescita staturo-ponderale, il rapporto mamma-bambino, le esigenze specifiche della mamma e il contesto socio-culturale. Sebbene il timing del divezzamento sia individuale, si cerca comunque di identificare approcci condivisi a livello della popolazione generale, rappresentata dai lattanti nati a termine, normopeso e in buona salute.
I diversi Organismi e Società scientifiche internazionali si esprimono in modo abbastanza concorde sul momento di inizio del divezzamento:
1. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda l’allattamento al seno esclusivo per i primi 6 mesi di vita (OMS, 2008) come pratica di salute pubblica per tutta la popolazione mondiale per raggiungere crescita e sviluppo ottimali e, conseguentemente, l’introduzione di alimenti diversi solo dopo i 6 mesi.
2. L’European Food Safety Authority (EFSA) ritiene che il latte materno sia sufficiente a soddisfare le esigenze nutrizionali nella maggior parte dei lattanti sino ai 6 mesi. Solo una percentuale inferiore di lattanti richiede un divezzamento più precoce per una crescita e uno sviluppo ottimali. Laddove non sia possibile attendere i 6 mesi, il divezzamento non dovrebbe avvenire prima della 17° settimana e comunque non oltre la 26°.
3. La European Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (ESPGHAN)considera l’allattamento esclusivo al seno un obiettivo desiderabile fino ai primi 6 mesi circa. In ogni caso il divezzamento non dovrebbe essere avviato né prima della 17° settimana di vita, né oltre la 26°.
4. L’American Academy of Pediatrics raccomanda l’introduzione di “alimenti complementari” non prima dei 4 mesi compiuti e indica comunque di proseguire l’allattamento al seno esclusivo fino ai 6 mesi.
5. Il Ministero della Salute raccomanda che il divezzamento sia avviato, ordinariamente, dopo i primi 6 mesi.
L’introduzione di nuovi alimenti in questa fascia di età è opportuna in quanto il latte da solo non è più sufficiente a fornire un adeguato apporto di energia, micro e macronutrienti; parallelamente la maturazione dei sistemi nervoso, gastroenterico e renale conferisce al lattante la possibilità e la capacità di ricevere alimenti solidi con diversa densità nutritiva, consistenza e modalità di assunzione.
1) È importante allattare al seno durante il divezzamento?
Il latte materno garantisce una nutrizione ideale, una crescita sana e uno sviluppo ottimale. Inoltre, offre al bambino benefici a medio e lungo termine e alla madre effetti favorevoli sullo stato di salute. Il latte materno come componente “lattea” dell’alimentazione diversificata che inizia con il divezzamento offre in particolare i seguenti benefici:
per il bambino:
– un ruolo protettivo contro le infezioni gastrointestinali e respiratorie e la morte in culla (SIDS),
– la riduzione dell’incidenza di alcuni tumori pediatrici (in particolare linfomi e leucemie),
– la riduzione del rischio futuro di obesità, di diabete tipo 2, di malattie cardiovascolari,
– un effetto positivo sullo sviluppo neuro-cognitivo associato alla durata dell’allattamento al seno
per la madre:
– la riduzione del rischio di cancro al seno e all’ovaio e del diabete mellito di tipo 2,
– una maggiore capacità in età senile di far fronte all’osteoporosi e alle sue complicanze,
– una opportunità per ritornare più velocemente al peso precedente alla gravidanza.
Per molte donne la ripresa dell’attività lavorativa rappresenta un ostacolo all’allattamento e la causa della sua interruzione. Pertanto è opportuno organizzare nei luoghi di lavoro asili-nido con spazi adeguati da destinare a tale pratica per prolungarne la durata.
Il Ministero della Salute ritiene necessario incoraggiare e sostenere le mamme a continuare ad allattare durante il divezzamento e comunque fino a quando lo desiderano, anche dopo il primo anno di vita del bambino.
2) Come introdurre gli alimenti durante il divezzamento
In linea generale, il lattante a sei mesi è pronto a ricevere cibi solidi. Infatti, intorno a questa età la maturazione intestinale si completa e lo sviluppo neurologico consente di afferrare, masticare e deglutire in maniera efficace.
Non esistono modalità e menù definiti per iniziare il divezzamento. Diversi modelli alimentari possono portare a soddisfare i fabbisogni nutrizionali del bambino tra 6 mesi e 3 anni. Va favorita l’interazione tra le preferenze della famiglia, le indicazioni del pediatra ed il contesto socio-culturale e tradizionale per aiutare il bambino a sviluppare il proprio gusto e le scelte alimentari personali nell’ottica di una alimentazione corretta.
I principi cardine dell’autosvezzamento (alimentazione complementare a richiesta) si riassumono in:
– fidarsi del bambino, far scegliere a lui,
– guidare senza imporre, senza ricattare, senza corrompere
– abbandonare il controllo
Nello svezzamento tradizionale si sostituisce una poppata con un pasto completo, poi se ne sostituiscono due e così via. L’introduzione dei cibi è fatta in modo verticale.
Se si fa autosvezzamento non si sostituisce a priori nessuna poppata in quanto il bambino si avvicina al cibo solido in modo graduale, partendo da piccoli assaggi durante tutti i pasti consumati dalla famiglia nell’arco della giornata. In questo caso il cibo fa da complemento al latte perché le poppate non si abbandonano se non molto gradualmente e in modo più o meno equilibrato. Insomma in modo orizzontale.
Dell’autosvezzamento è importante l’approccio libero del bambino verso il cibo, ma chi nega che non debba essere così anche lo svezzamento tradizionale? I cibi vanno sempre proposti e non imposti, in modo che il bambino abbia un rapporto sereno e giocoso. I cibi vanno offerti senza forzare il bambino, consentendogli eventualmente di toccare cibo nel piatto e mangiare con le mani. Non si deve insistere se non gradisce qualche alimento ma alternare cibi diversi per colore, sapore e consistenza. Il cibo inizialmente non accettato va però riproposto con pazienza in giornate successive, eventualmente preparato in modo diverso.
È importante che il bambino mangi seduto con la schiena eretta (preferibilmente nel seggiolone) per evitare il rischio di soffocamento e per permettergli di partecipare attivamente al pasto, toccando e anche pasticciando con il cibo.
Oltre al latte, durante il divezzamento il bambino deve bere acqua evitando bevande con zuccheri aggiunti che sono un fattore predisponente per lo sviluppo di carie ed obesità. Il latte vaccino non è raccomandato nel primo anno di vita per il rischio di sbilanciare l’apporto proteico alimentare complessivo e, inoltre, perché può causare carenze di ferro.
Entro i 9-12 mesi il bambino dovrebbe aver provato un’ampia varietà di cibi e di sapori, abituandosi progressivamente a consumare oltre al latte, altri due pasti principali (pranzo e cena) e uno-due spuntini. Le porzioni vanno adeguate per l’età del bambino ed in queste indicazioni il pediatra curante può essere di valido supporto.
Vari sono gli alimenti che possono essere offerti al bambino come primo cibo solido mettendo da parte il criterio della progressiva introduzione degli alimenti secondo il grado di allergenicità.
Le più recenti e autorevoli evidenze sperimentali non convalidano sul piano scientifico la tesi secondo cui i bambini anche a rischio di sviluppare celiachia o un’allergia alimentare dovrebbero seguire uno schema di divezzamento diverso dalla popolazione generale.
Gli studi più recenti hanno infatti dimostrato che l’introduzione tardiva degli alimenti ritenuti “allergizzanti” non previene lo sviluppo di allergia alimentare e/o celiachia nei soggetti predisposti e che l’età del bambino alla prima esposizione verso l’alimento (purché avvenga dopo i 4 mesi di vita) non ne modifica il successivo rischio globale a 10 anni di età.
In generale in un’epoca in cui si tende a tornare ai principi e valori tradizionali, alle cose buone e sane di un tempo, perché il “come faceva la nonna” è più naturale e più rassicurante, mi sento di proporre alle neo mamme l’autosvezzamento, ma sempre e comunque in maniera consapevole.
Va bene abbandonare il baby food; gli alimenti per l’infanzia preparati industrialmente forse spaventano (pur rispettando dei criteri molto rigidi); va bene preparare cose semplici in casa per tutta la famiglia. In questo modo si è più attenti alla spesa, alle cotture e ai piatti da proporre e tutta la famiglia avrà un approccio più sano verso il cibo e godrà dei benefici.
Se si riesce a sedere a tavola con i piccoli ancora meglio, per condividere un momento piacevole e ristoratore per tutti; i bambini si sentiranno più partecipi e coinvolti in questo gioco dell’imitare mamma e papà e sicuramente percepiranno meno pressione.
Quello che mi permetto di suggerire però è che sia una scelta consapevole e non per conformarsi o per distinguersi.
Una decisione frettolosa e senza le giuste informazioni può provocare disorientamento e rifiuto nel bambino e conseguente frustrazione e nervosismo nel genitore.
Che sia piuttosto una scelta informata e ponderata. Che sia guidata da un esperto, un pediatra o un nutrizionista nel caso di dubbi e incertezze. E’ importante per tutti ma ancor di più nei riguardi di un bambino saper bilanciare i nutrienti, conoscere i cibi giusti per lui e saper variare la proposta in tavola.
Il bambino può essere lasciato libero di decidere la quantità, ma non la qualità. Con il divezzamento, infatti, non abbiamo più a che fare con il latte materno che è un alimento completo in sé, ma con una serie di alimenti che sono ognuno diverso dall’altro per nutrienti e proprietà e non tutti possono andar bene per un bambino. Per questo la scelta del cibo deve essere degli adulti. In più il fabbisogno di nutrienti è diverso per un bambino di meno di due anni, così come la sua capacità fisiologica. Rene, fegato e pancreas sono ancora in fase di crescita e non vanno sottoposti a carichi eccessivi. Non si può quindi lasciare che il bambino mangi cibi che per lui sono troppo ricchi di proteine, sali o zuccheri.
Ai bimbi dunque la libertà di allungare la mano in tavola e provare questa o quella cosa buona che mamma e papà hanno preparato con tanta cura, senza costrizioni. Ai genitori invece la possibilità di valutare in maniera opportuna cosa portare in tavola per la salute e la crescita dei nostri figli.
Dott.ssa Serena M. Caldarazzo